corriere del mezzogiorno

La polemica sull’Isola Azzurra

Credo che piangere sull’inesorabile declino di Capri accollandone la responsabilità ai sandali infradito e all’incapacità di debellarli sia, ancor prima che sorprendente, incredibilmente stupido. E’ per questo che trovo le osservazioni di Marc Beaugé (riportate peraltro da un giornale autorevole come Le Monde) assai peregrine e molto meno brillanti delle molte cattiverie che, nel corso del tempo, mi è capitato di leggere intorno al tema eterno della “caduta di tono” dell’isola.

Nei primi anni ’90, per dire, Capri fu fustigata con accanimento da un grandissimo connoisseur d’arte come Federico Zeri (uno che di bellezza poteva parlarne con titoli più seri di quelli che può esibire un cronista di moda). E Zeri era in buona compagnia: le sue idee sull’isola cafona era condivise dallo scrittore Alberto Arbasino. Non passa estate, del resto, che a Capri e ad altre località ritenute “esclusive” non vengano ritualmente dedicati paginoni di quotidiani, reportage di settimanali e servizi televisivi di tono quasi invariabilmente malizioso. Questi posti vengono descritti come i paradisi degli evasori fiscali; oppure come i fortini dei razzisti che infieriscono contro gli ambulanti o i dannati della gita fuori porta; oppure, ed è il caso di cui ci occupiamo, come gli osservatorii privilegiati per capire l’evoluzione della cafonaggine dominante.

Per rubare il titolo a un’interessante iniziativa promossa dalla Fondazione Capri, si tratta insomma di forme, talora istruttive e sempre piuttosto divertenti, di trendwatching.

Ora, non c’è alcun dubbio sul fatto che, un tempo, la ricchezza dei villeggianti si sposava a una sobrietà della quale gli attuali ceti più abbienti mostrano di ignorare il senso, in ciò favoriti dal costume dei potenti, i quali pure, rispetto ai loro predecessori, hanno subìto analoga involuzione.

Nell’Italia di oggi – quella dei toga party alla vaccinara, delle cene eleganti, delle spigole spedite sugli aerei di Stato – una certa quota di cafonaggine è dato costante e trasversale; e lo è a tal punto che i pochi che ancora la notano sono additati come degli insopportabili snob, magari comunisti. Capirete come in un simile contesto, i sandali infradito, lungi dal rappresentare una minaccia al bon ton, possono quasi far tenerezza: sono semplici, comodi, inoffensivi, silenziosi. Mentre i mocassini portati senza calzini preludono a brutte sudorazioni, e i sandali con i tacchi alti fanno rumore. Certo, si può storcere il naso al cospetto dei pantaloni a pinocchietto esibiti da maschi russi o latini, o delle canotte o ancor peggio dei petti un tempo villosi oggi accuratamente depilati a esaltare i tatuaggi incisi sugli atletici omeri. Ma allora perché tacere della tanta gente inappuntabilmente agghindata che s’accalca nella taverna alla moda ed esplode di gioia quando lo chansonnier salmodia il suo celebre tormentone: “La signora in quarta fila vestita di rosso…” (o di giallo, o di verde, o di nero), cui rispondere in coro cantando l’irresistibile voglia sessuale della suddetta signora? Soccede ogni notte, ed è il popolo che lo vuole: i ceti affluenti, dalle Alpi a Capo Passero. Penso dunque che Beaugé abbia sbagliato bersaglio. Lui non conosce la fatica che si sobbarcano i gitanti giornalieri che vanno a Capri; io invece me li abbraccerei tutti, consigliandoli peraltro di evitare agosto, il più crudele dei mesi. Quando, viaggiando, non solo gli tocca di patire le pene dell’inferno, ma pure di passare per quelli che, per il solo fatto di esistere, guastano l’ambiente.

FRANCESCO DURANTE